Al momento in studio ci sono farmaci sintomatici come una preparazione di levodopa a lento rilascio e due preparazioni per infusione sottocutanea. Questi farmaci sono in fase avanzata di sperimentazione e potrebbero essere commercializzati entro due anni. Ci sono poi altre molecole che sono in fase iniziale di sperimentazione per cui bisognerà attendere più a lungo per la commercializzazione. Per quanto riguarda i farmaci che possono influenzare il decorso di malattia, ovvero gli anticorpi monoclonali per l’alfasinucleina, siamo in una fase due avanzata e i primi risultati si dovrebbero avere nell’autunno del 2020.

Solo nei 10 % circa dei casi la malattia di Parkinson è attribuibile alla mutazione di un singolo gene (monogenica), mentre nella gran parte dei casi è ipotizzabile una predisposizione poligenica all’interno di una stessa famiglia (assetto cromosomico predisponente). Inoltre, in alcuni casi, la mutazione genetica non è completamente “penetrante”, ovvero non tutti i soggetti portatori di una mutazione manifesteranno la malattia.
Pertanto, l’indagine sui familiari non affetti dalla malattia attualmente non è consigliata dalle linee guida di buona pratica clinica nazionali ed internazionali.
Nel caso abbiate ricevuto la diagnosi di malattia di Parkinson monogenica, consigliamo di rivolgervi al neurologo curante che saprà sicuramente, grazie anche all’ausilio di una consulenza di genetica medica, approfondire l’argomento fornendo tutte le informazioni del caso.
Un paziente informato è il miglior alleato del medico.

La terapia dell’insonnia va impostata in rapporto ai sintomi e considerando l’intero contesto clinico. E’ necessario che ne discuta con il suo neurologo di fiducia per modificare la terapia che sta assumendo.

Si ci sono. Gli integratori vanno però sempre concordati con lo specialista di riferimento  per evitare di introdurre prodotti che possano interferire con l’assorbimento dei farmaci dopaminergici.

Più che contrastare il rifiuto a farsi aiutare, è importante aiutare il paziente a non farsi aiutare. Sarebbe utile creare un’alleanza e una complicità nel “contrastare insieme” la malattia senza sottolineare la necessità di essere aiutato, che in molti pazienti riduce l’autostima e può generare meccanismi di rifiuto. Inoltre è importante valorizzare il bisogno della persona di mantenersi autonoma sfruttando le capacità di reagire alla malattia insieme.

In linea generale è un’esperienza comune che le persone che praticano regolarmente attività sportive e motorie riescono a usare meno farmaci. Non ci sono studi scientifici in tal senso ma solo esperienze soggettive che comunque sembrano sempre andare nella stessa direzione. Si raccomanda comunque di discutere sempre queste eventuali riduzioni con il proprio neurologo curante o eventualmente con un altro di riferimento.

La dieta va sempre adattata alla persona. La migliore alimentazione è una dieta bilanciata a base di proteine, cereali integrali, frutta e verdura. Per il fabbisogno calorico in base a età, sesso e stadio della malattia sarebbe utile eseguire una valutazione completa dello stato nutrizionale, magari con l’ausilio di esami strumentali come la calorimetria e l’impedenzometria. Per fare ciò è necessario avere competenze dietologiche e dietetiche. E’ sconsigliabile “il fai da te”.

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